mercoledì 30 settembre 2009
E no, signor Bertolaso, così non va!
Dall’inviato a L’Aquila Miska Ruggeri: «A L’Aquila, come chiunque ha potuto constatare attraverso giornali e televisioni, è venuto giù quasi tutto. Villette di periferia costruite da una manciata di anni in (teorico) cemento armato, palazzi del Settecento, chiese del Trecento (…). C’è una sola vistosa eccezione: le opere dell’architettura fascista.
Basta una breve passeggiata nel martoriato centro storico della città per trovare tanti esempi. Ne scegliamo qualcuno quasi per caso (…)». Per motivi di spazio riteniamo impossibile indicare tutti gli esempi riportati dall’autore del pezzo; in ogni modo sono tutti casi di edifici, piscine, circoli edificati negli anni Trenta, cioè in piena epoca del male assoluto.
Il capo e coordinatore della Protezione Civile, signor Brantolaso, ha detto che mai in passato si è stato così tempestivi, come attualmente in Abruzzo, nell’intervenire in casi di catastrofi naturali. Parole pronunciate al Tg1 alle 20 del 6 settembre 2009. Ha aggiunto: «Non credo che in passato siano possibili paragoni al mondo».
Prima suggerisco al Signor Guido Bertolaso di andare a ripassare la storia e poi lo porto proprio in un altro mondo, perché tale fu: gli anni del Ventennio. Credo di essere una persona equilibrata, pertanto voglio riconoscere che nel caso del funesto terremoto che ha sconquassato l’Abruzzo, gli interventi sono stati, questa volta, tempestivi ed efficaci.
Ripeto, sono una persona equilibrata, ma molto scettico sulle capacità ed onestà della classe dirigente scaturita dalla liberazione, di conseguenza ritengo che gli interventi sopra indicati non siano altro che la ripetizione (e questo sarebbe già cosa apprezzabile) di quanto si verificò a seguito di quel terremoto avvenuto alcuni decenni fa, terremoto non politicamente corretto.
E per impartire al Signor Bertolaso una piccola lezione di storia, mi avvalgo di un mio articolo di qualche tempo fa.
Ci avete fatto caso che i mezzi di informazione hanno ricordato i principali sismi che si sono verificati nel secolo scorso, partendo proprio da quello che interessò Messina e Reggio Calabria nel 1908, la Sicilia 1967, l’Irpinia 1980, l’Umbria 1997, ma hanno dimenticato quello del 1930. Perché?
Provo a rispondere. Prima di affrontare il tema debbo parlare di me, ma brevemente, non vi preoccupate, e poi siano i lettori a giudicare sul “perché?”.
Ho lavorato diversi anni all’estero, ma nel mio pendolare mi trovai in Italia nel 1980, proprio nell’anno del terremoto che devastò l’Irpinia. Nelle ore immediatamente successive al tragico evento, ascoltavo le ultime notizie alla radio e fui colpito da una stranezza: un contadino del luogo che stava rispondendo alle domande di un intervistatore, raccontava di aver avuto la casa completamente distrutta e, cosa ancor più grave, di aver perso una figlia. Alle insistenti domande del giornalista, il pover’uomo rispondeva che tutto il paese era stato raso al suolo, ma le uniche case che avevano resistito al sisma erano quelle costruite a seguito del terremoto del 1930. A questo punto il contatto si interruppe, ma in modo così maldestro da convincermi che era cosa voluta.
1930? Un terremoto? Non ne sapevo niente. Incuriosito volli indagare e scoprii cose turche, turchissime.
Prima di addentrarmi ancora nel discorso, chiedo venia perché questo argomento fu da me trattato in altra occasione e per alcuni lettori potrei sembrare ripetitivo.
Ecco dunque i fatti, ricordando che stiamo trattando di un avvenimento accaduto quasi ottanta anni fa, quando le attrezzature tecniche non erano così sofisticate come quelle di oggi.
La notte del 23 luglio 1930 uno dei terremoti più devastanti (6,5° Scala Richter) che la nostra storia ricordi (1.500/2.000 morti) colpì vaste aree della Campania, della Lucania e del Subappennino pugliese: all’incirca, cioè, quelle stesse regioni colpite dal sisma del novembre 1980 (6° Scala Richter).
Mussolini, appena conosciuta la notizia, convocò il Ministro dei Lavori Pubblici Araldo Di Crollalanza, certamente uno dei più prestigiosi componenti del Governo di allora (e di tutti i tempi dall’Unità ad oggi) e gli affidò l’opera di soccorso e di ricostruzione.
Araldo Di Crollalanza, in base alle disposizioni ricevute e giovandosi del RDL del 9 dicembre 1926 e alle successive norme tecniche del 13 marzo 1927 (ecco come è nata la Protezione Civile), norme che prevedevano la concentrazione di tutte le competenze operative, nei casi di catastrofe, nel Ministero dei Lavori Pubblici, il Ministro fece effettuare, nel giro di pochissime ore, il trasferimento di tutti gli uffici del Genio Civile, del personale tecnico, nella zona sinistrata, così come era previsto dal piano di intervento e dalle tabelle di mobilitazione che venivano periodicamente aggiornate.
Secondo le disposizioni di legge, sopra ricordate, nella stazione di Roma, su un binario morto, era sempre in sosta un treno speciale, completo di materiale di pronto intervento, munito di apparecchiature per demolizioni e quant’altro necessario per provvedere alle prime esigenze di soccorso e di assistenza alle popolazioni sinistrate. Sul treno presero posto il Ministro, i tecnici e tutto il personale necessario. Destinazione: l’epicentro della catastrofe.
Naturalmente, come era uso in quei tempi, per tutto il periodo della ricostruzione, Araldo Di Crollalanza non si allontanò mai dalla zona sinistrata, adattandosi a dormire in una vettura del treno speciale che si spostava, con il relativo ufficio tecnico da una stazione all’altra per seguire direttamente le opere di ricostruzione.
C’è la testimonianza di un giovane di allora, il signor Liberato Iannantuoni di Meda (MI) che ricorda: «Nella notte del 23 luglio 1930, il terremoto distrusse alcuni centri della zona ai limiti della Puglia con la Lucania e l’avellinese, in particolare Melfi, Anzano di Puglia, Macedonia. Proprio tra le macerie di questo borgo, all’indomani del terribile sisma, molte personalità del tempo accorsero turbate da tanta straziante rovina, fra le quali il Ministro dei Lavori Pubblici Araldo Di Crollalanza. Avevo allora 22 anni, unitamente ad altri giovani fummo comandati allo sgombero delle macerie. Ecco perché conobbi da vicino Crollalanza; si trattenne un po’ con noi con la serena e ferma parola di incitamento al dovere; restò per me l’uomo indimenticabile per i fatti che seguirono. Tutto quello che il sisma distrusse nell’estate 1930, l’anno nuovo vide non più macerie, ma ridenti case coloniche ed altre magnifiche costruzioni con servizi adeguati alle esigenze della gente del luogo. Moderne strade fiancheggiate da filari di piante ornamentali; si seppe anche che costi occorrenti furono decisamente inferiori al previsto (…)».
Ecco, caro lettore, perché quel terremoto non è politicamente corretto. Ma oltre a quello cui ho appena accennato: c’è ben altro.
I lavori iniziarono immediatamente. Dopo aver assicurato gli attendamenti e la prima opera di assistenza, si provvide al tempestivo arrivo sul posto, con treni che avevano la precedenza assoluta di laterizi e di quant’altro necessario per la ricostruzioni. Furono incaricate numerose imprese edili che prontamente conversero sul posto, con tutta l’attrezzatura. Lavorando su schemi di progetti standard si poté dare inizio alla costruzione di casette a pian terreno di due o tre stanze[1] anti-sismiche, particolarmente idonee a rischio. Contemporaneamente fu disposta anche la riparazione di migliaia di abitazioni ristrutturabili, in modo da riconsegnarle ai sinistrati prima dell’arrivo dell’inverno. Si evitava in questo modo che si verificasse quanto accaduto nel periodo pre-fascista e quanto accadrà, scandalosamente, nell’Italia post-fascista: la costruzione di baracche, così dette provvisorie, ma che sono, invece, di una provvisorietà illimitata.
Sembra impossibile (data l’Italia di oggi): a soli tre mesi dal catastrofico sisma, e precisamente il 28 ottobre 1930 – come a simboleggiare che con determinati uomini i miracoli sono possibili – le prime case vennero consegnate alle popolazioni della Campania, della Lucania e delle Puglie. Furono costruite 3.746 case e riparate 5.190 abitazioni. Caro Signor Bertolaso, ha preso nota?
Ma, caro lettore, che vivi in questa Italia di piena libertà, ascolta come Mussolini salutò il suo Ministro dei Lavori Pubblici al termine della sua opera: «Eccellenza Di Crollalanza, lo Stato italiano La ringrazia non per aver ricostruito in pochi mesi perché era Suo preciso dovere, ma la ringrazia per aver fatto risparmiare all’erario 500 mila lire».
Sì, avete capito bene: fate un raffronto con quanto accadde a seguito del terremoto del 1980.
Ricordo che nel corso di una trasmissione televisiva, ad un certo momento un pover’uomo telefonò alla RAI e disse che dal 1980 viveva in Irpinia dentro un container e ancora aspettava la casetta.
Avete ora capito perché i quaquaraqua considerano il terremoto del 1930 politicamente non corretto?
Dato l’interesse dell’argomento e per rinnovare la memoria di quel che fu, riporto quanto il signor Adolfo Saccà di Roma scrisse al direttore de “Il Giornale d’Italia” il 28 novembre 1988: «Il terremoto del 1908 ridusse in fumanti macerie Reggio Calabria, Messina e le cittadine di quelle due province. Con l’aiuto di mezzo mondo ben presto furono costruiti interi baraccamenti per il ricovero dei superstiti. Ed in quelle baracche vivemmo per ben venti lunghissimi anni! Dal 1908 al 1928. Finché nel 1928 Mussolini lasciò la capitale per recarsi in Sicilia. Il Capo del Governo poté vedere dai finestrini della sua carrozza, riportandone vivissima impressione, il succedersi ininterrotto di baracche già vecchie e stravecchie. L’anno dopo al loro posto c’erano già in tutti i paesi terremotati altrettante belle, decorose palazzine che ancora oggi testimoniano il sollecito, deciso intervento di Mussolini che ci tolse, finalmente! Dalla miserrima condizione di baraccati».
Non so se per questa lettera il signor Saccà sia incorso nelle sanzioni previste dalle leggi Scelba, Reale o Mancino.
A questo punto, e in fase di chiusura, desidero ricordare che si propose, tempo fa, di intitolare la piscina comunale (uno degli edifici edificati negli anni Trenta, quindi rimasto pressoché intatto) ad Adelchi Serena (1895-1970), ex podestà de L’Aquila dal 1926 al 1934. Ma Adelchi Serena aveva un marchio incancellabile, per i quaquaraqua di oggi: era stato vicesegretario del Pnf e Ministro dei Lavori Pubblici di Mussolini. Quindi, di fronte a queste infamie intervenne l’allora diessino Fabio Mussi, il quale si rivolse persino a Silvio Berlusconi affinché si adoperasse in modo che quella piscina non venisse titolata a siffatta persona.
Povera gente, che pochezza…!
[1] Qualcuno sostiene che le prime strutture anti-sismiche furono messe in opera negli anni ’60. Menzogna. Le casette anti-sismiche costruite nel 1930 furono progettate ingabbiandole in strutture portanti in cemento armato e furono quelle che resistettero al sisma del novembre 1980.
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