mercoledì 30 settembre 2009

Ai camerati di Azione Giovani


Camerati di AG,
noi facciamo appello non solo alla Vostra intelligenza, ma al Vostro sangue!
Al profondo del Vostro sentire!
Alla Vostra dignità, alla Vostra carne, alla spina dorsale che finora avete dovuto piegare!
Alla razza, al Vostro essere uomini e donne di razza!
Però uomini e donne umiliati e avviliti da chi, mai degno d’esser chiamato capo, s’è fatto necroforo di quella parte politica alla quale finora avete, di certo, dato cuore, anima e pensiero e che costui ha reso oscena e irriconoscibile.
La Vostra, la nostra storia di eroismi, sconfitte e trionfi, liquidata come un fallimento.
Le Vostre, le nostre idee immortali, invitte e insuperate, svendute come ciarpame.
Gli eroi che scelsero di combattere una guerra persa piuttosto che piegarsi all’infamia del tradimento, trattati come pazzi velleitari.
Il sacrificio dei ragazzi, martiri negli anni di piombo,offeso e calpestato.
Il futuro che avete sognato grandioso e fatale, degradato ad una banalità meschina, senza slanci, impeti o passioni.
L’entusiasmo, l’ardore, il fuoco che sentite dentro, smorzati definitivamente da un politicante scellerato e mediocre.
Se, facendoVi violenza, a costui avete ceduto, credendo di doverVi piegare alle esigenze dei numeri, dei voti, del successo elettorale, ricordateVi che anche la meretrice guadagna di più e più facilmente e più velocemente della donna onesta.
Ma bisogna esserci nate per il meretricio!
Voi, Camerati, che con ben altra dignità state al mondo e che a Dio e alla Vostra coscienza, sapete di dover render conto, reagite con decisione!
L’adesione ai circoli di Ordine Futuro sarà l’affrancamento decisivo, irrevocabile, perentorio da un giogo che Vi ha per lungo tempo avvilito.

AlzateVi, aderite a Forza Nuova e non guardateVi più indietro!

Un esempio di “piccola storia” censurata


Vercelli, 7 maggio 1945, via Riccardo Restano 64. La famiglia Scalfi è radunata a casa e ancora non sa che di lì a poco sarà sterminata da una banda di partigiani comunisti che, lo si saprà poi in un secondo tempo, copriranno l'eccidio con il pretesto della “liberazione”. Uno dei tanti casi di vendetta privata nei giorni immediatamente successivi al 25 aprile.
Anche per questa truculenta vicenda infatti scopo della strage sarà null'altro che un'annunciata denuncia per via di un furto di polli promessa dalla vittima Luigi Bonzanini, al suo carnefice Felice Starda: almeno questo sarà ciò che si dirà essere stato il probabile movente. I fatti si svolsero comunque in un'allucinate sequenza quella sera stessa; un'auto con a bordo alcuni partigiani si fermò infatti in via Restano mentre almeno un paio di loro scesero. Entrando nell'abitazione i medesimi si trovarono così di fronte ad Elsa Scalfi di 16 anni e Laura Scalfi di 21 che non esitarono ad eliminare con una mitraglia, proprio come fecero anche con Luigi Bonzanini: scomoda testimone di quella mattanza la paralitica quasi settantenne Luigia Meroni.

Distrutta la famiglia i partigiani presero quindi la strada della fuga per però tornare di lì a poco in quanto la paralitica avrebbe potuto raccontare i fatti facendo così nomi e cognomi: eliminarono perciò anche lei, con ferocia e senza pensarci ulteriormente. La vicenda fece naturalmente scalpore, ma nessuno osò nè fare nè dire nulla perchè così era costume di quei giorni dell'immediato dopoguerra. Qualcosa però in quella tragica sequenza di fatti prese una piega storta, tanto che Felice Starda fu assassinato da ignoti solo qualche giorno dopo: si tentò di far credere che ciò fosse stata opera di un cecchino fascista, ma quella versione non convinse nessuno. Fu ad ogni modo un fatto che il nome dello Starda facesse bella mostra di sè al mausoleo degli “eroi della Resistenza” nel cimitero di Vercelli, e ciò per decenni, mentre in realtà sotterraneamente si diceva e si sapeva trattarsi null'altro che di un assassino. Certamente non l'unico incluso in qualche analogo mausoleo.

Così che un coraggioso ricercatore locale antifascista Giuseppe Crosio cominciò negli anni '90 a porre per iscritto alcuni quesiti relativi a quella vicenda; a lui fece quindi eco un giornalista della Stampa, Enrico De Maria, che insieme a chi scrive prese a cuore la vicenda sollevando ulteriori dubbi ed interrogativi. Sta di fatto che dopo una lunga serie di “non sapevamo” o “non pensavamo”, un bel giorno il nome di Starda venne rimosso dal mausoleo partigiano del cimitero vercellese con il discreto silenzio di tutta la stampa che invece forse avrebbe dovuto dare più risalto a tale notizia: non è infatti cosa da tutti i giorni rimuovere il nome di un “eroe” per occultarne tanto la memoria quanto i resti mortali. Un bel giorno di un fresco febbraio comunque ci recammo in via Restano per visitare il teatro della tragedia dimenticata, ma una sconcertante sorpresa ci avrebbe atteso: la casa infatti lascia oggi spazio ad un piccolo parcheggio sito tra una teoria di case che curiosamente si interrompe proprio in corrispondenza del numero 64: in breve, la casa è sparita, svanita nel nulla. Facile intuire quel che può essere successo. Comunque attoniti per la scoperta, una telefonata al giornalista De Maria fugava ogni dubbio: “No, la casa non c'è più. Io stesso qualche tempo fa la cercai e trovai il vuoto che tu vedi ora”.

Una casa di fantasmi quindi o meglio, un vuoto sconcertante che dimostra concretamente fino a che punto può portare il dolore dei superstiti di una famiglia sterminata, provati da un'assurda strage senza un perchè. Non c'entrano infatti guerra o resistenza, non c'entrano politica o presunti reati analoghi, si trattò invece soltanto di un feroce eccidio dettato esclusivamente dall'odio coperto da presunte pretese politiche, forse legato alla certezza dell'impunità. Fatto curioso che solo a pochi metri dal luogo della strage esista una lapide che ricorda, sul frontespizio del mattatoio civico, il martirio di quattro partigiani morti per la libertà d'Italia. Della famiglia Scalfi e soprattutto delle due giovanissime ragazze invece nemmeno una parola: sono cose che generano amarezza e danno da pensare. L'esecutore materiale della strage, Felice Starda, fu comunque ancora difeso da un suo commilitone che dopo la rimozione delle sue spoglie dal mausoleo scrisse una lettera ai giornali, affermando che lo Starda a suo modo di vedere – già che lui lo conosceva bene – non avrebbe agito di sua iniziativa, bensì forse comandato: sia come sia il fatto resta torbido, e anzi, in una simile possibile prospettiva dei fatti lo sarebbe ancora di più. Strano che il partigiano non si sia reso conto dell'enormità delle sue inedite affermazioni.
Resta comunque alla fine di tutta questa triste vicenda lo sconcerto di un'assurda tragedia che ha eliminato un'intera famiglia e che oggi non trova nemmeno più concretezza in un muro per ricordare quella strage. Per questa ragione scriverne diventa un dovere morale, affinchè a futura memoria si ricordi anche questa storia legata ad un'altra “resistenza”, quella di cui oggi ancora troppo poco e male si parla.

Commemorazione del 65° anniversario della tragedia dei battelli del Lago Maggiore


Nella giornata odierna si è svolta la commemorazione del 65° anniversario della tragedia dei battelli "Genova" e "Milano", mitragliati e affondati nelle acque del Lago Maggiore da aerei alleati il 25 e 26 settembre 1944.
La commemorazione è stata organizzata dal R.N.C.R.RSI-Continuità Ideale e dall'A.N.F.C.D.RSI, d'intesa con la locale Federazione del Movimento Nazionalpopolare.
Nell'attacco al battello "Genova" morirono 34 civili mentre nell'attacco al "Milano", oltre a 17 civili, morirono anche 10 Legionari del Btg."M" Venezia Giulia.
Alle ore 9,30, per mezzo di un'imbarcazione privata, è stata lanciata nel lago una corona d'alloro con nastro tricolore davanti al pontile di Baveno dove fu affondato il "Genova" ed è stata letta la Preghiera del Legionario.
Alle ore 10,30 al cimitero di Verbania-Intra, si è formato un corteo preceduto dalle bandiere della RSI e da quelle del Comitato "Disamericanizziamoci", è stata deposta una corona d'alloro sulla tomba dei Caduti Civili e Militari del battello "Milano" e, dopo la lettura della Preghiera del Legionario ed il minuto di silenzio, è risuonato un forte "Presente" con il rituale saluto romano. Analogo presente è stato fatto sulla tomba del milite della X Mas di Verbania morto a 19 anni sul battello "Milano" dove si trovava per andare in licenza.
Quindi ci si è spostati al porto turistico di Villa Taranto a Verbania-Pallanza dove una delegazione, che ha riempito al limite della capienza uno dei battellini turistici, si è recata a lanciare una corona d'alloro nel punto dov'è inabissato il relitto del "Milano", sul quale forse si trovano ancora dei corpi di civili mai recuperati.
Alle ore 11,30, nella vicina Chiesa della Casa S.Luisa è stata poi celebrata la S.Messa di suffragio per tutti i Caduti.
Dopo i saluti di rito, quelli che sono rimasti si sono ritrovati per un pranzo cameratesco presso il Ristorante Il Chiostro della Famiglia Studenti di Verbania-Intra.
Alle varie fasi della cerimonia hanno partecipato una famiglia di Trieste con la sorella di un Legionario morto sul "Milano", una delegazione del RNCR.RSI-Continuità Ideale di Novara, una delegazione di Forza Nuova Piemonte, una rappresentanza di Casapound e diversi militanti del Movimento Nazionalpopolare e del RNCR.RSI-C.I. del Verbano-Cusio-Ossola.
Per la prima volta, alla cerimonia al cimitero di Verbania-Intra, ha partecipato anche il nuovo sindaco di centrodestra di Verbania, il deputato da più legislature Marco Zacchera di Alleanza Nazionale con alcuni consiglieri comunali del PDL.
La sua presenza è stata accolta con grande freddezza dai militanti del MNP e del RNCR.RSI-Continuità Ideale, sia perché è l'esponente di un partito il cui tradimento e la cui abiura sono scritte a caratteri di fuoco nella roccia, ma anche perche, alla vigilia della nascita di A.N., informato che la locale sezione del MSI della quale faceva parte stava preparando la tradizionale commemorazione dei battelli sbottò nella lapidaria frase: "per questa volta passi ma dall'anno venturo che dei battelli affondati non se ne parli più".
Inoltre, lo stesso sindaco, appena eletto nella scorsa primavera, come primo atto d'insediamento si è recato con tanto di fascia tricolore al monumento alla Resistenza di Verbania-Fondotoce, mentre oggi si è presentato senza fascia tricolore, quasi a ribadire la distinzione tra i caduti di serie A della Resistenza e quelli di serie B "nostri", che per l'ufficialità sono morti dalla parte "sbagliata" della barricata.
La commemorazione è stata ripresa dalle televisioni locali che ne hanno già dato un ampio e fedele resoconto filmato.

E no, signor Bertolaso, così non va!


Dall’inviato a L’Aquila Miska Ruggeri: «A L’Aquila, come chiunque ha potuto constatare attraverso giornali e televisioni, è venuto giù quasi tutto. Villette di periferia costruite da una manciata di anni in (teorico) cemento armato, palazzi del Settecento, chiese del Trecento (…). C’è una sola vistosa eccezione: le opere dell’architettura fascista.
Basta una breve passeggiata nel martoriato centro storico della città per trovare tanti esempi. Ne scegliamo qualcuno quasi per caso (…)». Per motivi di spazio riteniamo impossibile indicare tutti gli esempi riportati dall’autore del pezzo; in ogni modo sono tutti casi di edifici, piscine, circoli edificati negli anni Trenta, cioè in piena epoca del male assoluto.
Il capo e coordinatore della Protezione Civile, signor Brantolaso, ha detto che mai in passato si è stato così tempestivi, come attualmente in Abruzzo, nell’intervenire in casi di catastrofi naturali. Parole pronunciate al Tg1 alle 20 del 6 settembre 2009. Ha aggiunto: «Non credo che in passato siano possibili paragoni al mondo».
Prima suggerisco al Signor Guido Bertolaso di andare a ripassare la storia e poi lo porto proprio in un altro mondo, perché tale fu: gli anni del Ventennio. Credo di essere una persona equilibrata, pertanto voglio riconoscere che nel caso del funesto terremoto che ha sconquassato l’Abruzzo, gli interventi sono stati, questa volta, tempestivi ed efficaci.
Ripeto, sono una persona equilibrata, ma molto scettico sulle capacità ed onestà della classe dirigente scaturita dalla liberazione, di conseguenza ritengo che gli interventi sopra indicati non siano altro che la ripetizione (e questo sarebbe già cosa apprezzabile) di quanto si verificò a seguito di quel terremoto avvenuto alcuni decenni fa, terremoto non politicamente corretto.
E per impartire al Signor Bertolaso una piccola lezione di storia, mi avvalgo di un mio articolo di qualche tempo fa.
Ci avete fatto caso che i mezzi di informazione hanno ricordato i principali sismi che si sono verificati nel secolo scorso, partendo proprio da quello che interessò Messina e Reggio Calabria nel 1908, la Sicilia 1967, l’Irpinia 1980, l’Umbria 1997, ma hanno dimenticato quello del 1930. Perché?
Provo a rispondere. Prima di affrontare il tema debbo parlare di me, ma brevemente, non vi preoccupate, e poi siano i lettori a giudicare sul “perché?”.
Ho lavorato diversi anni all’estero, ma nel mio pendolare mi trovai in Italia nel 1980, proprio nell’anno del terremoto che devastò l’Irpinia. Nelle ore immediatamente successive al tragico evento, ascoltavo le ultime notizie alla radio e fui colpito da una stranezza: un contadino del luogo che stava rispondendo alle domande di un intervistatore, raccontava di aver avuto la casa completamente distrutta e, cosa ancor più grave, di aver perso una figlia. Alle insistenti domande del giornalista, il pover’uomo rispondeva che tutto il paese era stato raso al suolo, ma le uniche case che avevano resistito al sisma erano quelle costruite a seguito del terremoto del 1930. A questo punto il contatto si interruppe, ma in modo così maldestro da convincermi che era cosa voluta.
1930? Un terremoto? Non ne sapevo niente. Incuriosito volli indagare e scoprii cose turche, turchissime.
Prima di addentrarmi ancora nel discorso, chiedo venia perché questo argomento fu da me trattato in altra occasione e per alcuni lettori potrei sembrare ripetitivo.
Ecco dunque i fatti, ricordando che stiamo trattando di un avvenimento accaduto quasi ottanta anni fa, quando le attrezzature tecniche non erano così sofisticate come quelle di oggi.
La notte del 23 luglio 1930 uno dei terremoti più devastanti (6,5° Scala Richter) che la nostra storia ricordi (1.500/2.000 morti) colpì vaste aree della Campania, della Lucania e del Subappennino pugliese: all’incirca, cioè, quelle stesse regioni colpite dal sisma del novembre 1980 (6° Scala Richter).
Mussolini, appena conosciuta la notizia, convocò il Ministro dei Lavori Pubblici Araldo Di Crollalanza, certamente uno dei più prestigiosi componenti del Governo di allora (e di tutti i tempi dall’Unità ad oggi) e gli affidò l’opera di soccorso e di ricostruzione.
Araldo Di Crollalanza, in base alle disposizioni ricevute e giovandosi del RDL del 9 dicembre 1926 e alle successive norme tecniche del 13 marzo 1927 (ecco come è nata la Protezione Civile), norme che prevedevano la concentrazione di tutte le competenze operative, nei casi di catastrofe, nel Ministero dei Lavori Pubblici, il Ministro fece effettuare, nel giro di pochissime ore, il trasferimento di tutti gli uffici del Genio Civile, del personale tecnico, nella zona sinistrata, così come era previsto dal piano di intervento e dalle tabelle di mobilitazione che venivano periodicamente aggiornate.
Secondo le disposizioni di legge, sopra ricordate, nella stazione di Roma, su un binario morto, era sempre in sosta un treno speciale, completo di materiale di pronto intervento, munito di apparecchiature per demolizioni e quant’altro necessario per provvedere alle prime esigenze di soccorso e di assistenza alle popolazioni sinistrate. Sul treno presero posto il Ministro, i tecnici e tutto il personale necessario. Destinazione: l’epicentro della catastrofe.
Naturalmente, come era uso in quei tempi, per tutto il periodo della ricostruzione, Araldo Di Crollalanza non si allontanò mai dalla zona sinistrata, adattandosi a dormire in una vettura del treno speciale che si spostava, con il relativo ufficio tecnico da una stazione all’altra per seguire direttamente le opere di ricostruzione.
C’è la testimonianza di un giovane di allora, il signor Liberato Iannantuoni di Meda (MI) che ricorda: «Nella notte del 23 luglio 1930, il terremoto distrusse alcuni centri della zona ai limiti della Puglia con la Lucania e l’avellinese, in particolare Melfi, Anzano di Puglia, Macedonia. Proprio tra le macerie di questo borgo, all’indomani del terribile sisma, molte personalità del tempo accorsero turbate da tanta straziante rovina, fra le quali il Ministro dei Lavori Pubblici Araldo Di Crollalanza. Avevo allora 22 anni, unitamente ad altri giovani fummo comandati allo sgombero delle macerie. Ecco perché conobbi da vicino Crollalanza; si trattenne un po’ con noi con la serena e ferma parola di incitamento al dovere; restò per me l’uomo indimenticabile per i fatti che seguirono. Tutto quello che il sisma distrusse nell’estate 1930, l’anno nuovo vide non più macerie, ma ridenti case coloniche ed altre magnifiche costruzioni con servizi adeguati alle esigenze della gente del luogo. Moderne strade fiancheggiate da filari di piante ornamentali; si seppe anche che costi occorrenti furono decisamente inferiori al previsto (…)».
Ecco, caro lettore, perché quel terremoto non è politicamente corretto. Ma oltre a quello cui ho appena accennato: c’è ben altro.
I lavori iniziarono immediatamente. Dopo aver assicurato gli attendamenti e la prima opera di assistenza, si provvide al tempestivo arrivo sul posto, con treni che avevano la precedenza assoluta di laterizi e di quant’altro necessario per la ricostruzioni. Furono incaricate numerose imprese edili che prontamente conversero sul posto, con tutta l’attrezzatura. Lavorando su schemi di progetti standard si poté dare inizio alla costruzione di casette a pian terreno di due o tre stanze[1] anti-sismiche, particolarmente idonee a rischio. Contemporaneamente fu disposta anche la riparazione di migliaia di abitazioni ristrutturabili, in modo da riconsegnarle ai sinistrati prima dell’arrivo dell’inverno. Si evitava in questo modo che si verificasse quanto accaduto nel periodo pre-fascista e quanto accadrà, scandalosamente, nell’Italia post-fascista: la costruzione di baracche, così dette provvisorie, ma che sono, invece, di una provvisorietà illimitata.

Sembra impossibile (data l’Italia di oggi): a soli tre mesi dal catastrofico sisma, e precisamente il 28 ottobre 1930 – come a simboleggiare che con determinati uomini i miracoli sono possibili – le prime case vennero consegnate alle popolazioni della Campania, della Lucania e delle Puglie. Furono costruite 3.746 case e riparate 5.190 abitazioni. Caro Signor Bertolaso, ha preso nota?
Ma, caro lettore, che vivi in questa Italia di piena libertà, ascolta come Mussolini salutò il suo Ministro dei Lavori Pubblici al termine della sua opera: «Eccellenza Di Crollalanza, lo Stato italiano La ringrazia non per aver ricostruito in pochi mesi perché era Suo preciso dovere, ma la ringrazia per aver fatto risparmiare all’erario 500 mila lire».
Sì, avete capito bene: fate un raffronto con quanto accadde a seguito del terremoto del 1980.
Ricordo che nel corso di una trasmissione televisiva, ad un certo momento un pover’uomo telefonò alla RAI e disse che dal 1980 viveva in Irpinia dentro un container e ancora aspettava la casetta.
Avete ora capito perché i quaquaraqua considerano il terremoto del 1930 politicamente non corretto?
Dato l’interesse dell’argomento e per rinnovare la memoria di quel che fu, riporto quanto il signor Adolfo Saccà di Roma scrisse al direttore de “Il Giornale d’Italia” il 28 novembre 1988: «Il terremoto del 1908 ridusse in fumanti macerie Reggio Calabria, Messina e le cittadine di quelle due province. Con l’aiuto di mezzo mondo ben presto furono costruiti interi baraccamenti per il ricovero dei superstiti. Ed in quelle baracche vivemmo per ben venti lunghissimi anni! Dal 1908 al 1928. Finché nel 1928 Mussolini lasciò la capitale per recarsi in Sicilia. Il Capo del Governo poté vedere dai finestrini della sua carrozza, riportandone vivissima impressione, il succedersi ininterrotto di baracche già vecchie e stravecchie. L’anno dopo al loro posto c’erano già in tutti i paesi terremotati altrettante belle, decorose palazzine che ancora oggi testimoniano il sollecito, deciso intervento di Mussolini che ci tolse, finalmente! Dalla miserrima condizione di baraccati».
Non so se per questa lettera il signor Saccà sia incorso nelle sanzioni previste dalle leggi Scelba, Reale o Mancino.
A questo punto, e in fase di chiusura, desidero ricordare che si propose, tempo fa, di intitolare la piscina comunale (uno degli edifici edificati negli anni Trenta, quindi rimasto pressoché intatto) ad Adelchi Serena (1895-1970), ex podestà de L’Aquila dal 1926 al 1934. Ma Adelchi Serena aveva un marchio incancellabile, per i quaquaraqua di oggi: era stato vicesegretario del Pnf e Ministro dei Lavori Pubblici di Mussolini. Quindi, di fronte a queste infamie intervenne l’allora diessino Fabio Mussi, il quale si rivolse persino a Silvio Berlusconi affinché si adoperasse in modo che quella piscina non venisse titolata a siffatta persona.

Povera gente, che pochezza…!


[1] Qualcuno sostiene che le prime strutture anti-sismiche furono messe in opera negli anni ’60. Menzogna. Le casette anti-sismiche costruite nel 1930 furono progettate ingabbiandole in strutture portanti in cemento armato e furono quelle che resistettero al sisma del novembre 1980.

DESTRA UNIVERSITARIA



'Azioni di dissenso a sorpresa: Basta sangue italiano per il petrolio americano!' Gli studenti universitari di FORZA NUOVA sulle morti dei sei paracadutisti italiani in Afghanistan.


'DESTRA UNIVERSITARIA esprime il proprio cordoglio alle famiglie dei militari uccisi in missione, un sacrificio eroico per nulla bilanciato alle motivazioni che spingono il governo italiano ad affiancare le forze militari americane ed israeliane nella loro efferata guerra di conquista.

Le missioni di pace sono mere espressioni verbali per coprire le varie Guantanamo, i brogli elettorali di Karzai -uomo messo lì dall'occidente- e la conquista del petrolio. La lotta per l'autodeterminazione dei popoli e per la sovranità nazionale di ogni popolo ci spingono da oltre dieci anni a manifestare pacificamente la nostra estraneità davanti alla politica imperialista che l'Italia ha intrapreso, ma nella giornata di oggi il teatrino del cordoglio di circostanza delle istituzioni italiane ha oltrepassato il limite del sopportabile, motivo per cui annunciamo azioni di dissenso nella giornata di sabato 19 settembre.

venerdì 18 settembre 2009

Nessuno entri a scuola Sabato 19! SCIOPERO DEGLI STUDENTI..vedi perchè

Lotta Studentesca: Basta sangue italiano, sabato studenti in sciopero in tutte le scuole d’Italia!

Alla luce dei tragici fatti che hanno visto uccisi 6 soldati italiani in Afghanistan, Lotta Studentesca, movimento degli studenti medi vicino a Forza Nuova, dichiara: “Proclamiamo per la giornata di sabato 19 settembre uno sciopero nazionale di tutti gli studenti per chiedere l’immediato ritiro di tutti i contingenti italiani impegnati in Afghanistan e in Iraq. Esortiamo gli studenti a non entrare a scuola al fine di lanciare un messaggio forte, trasversale e condiviso alle istituzioni, colpevoli di aver votato a favore di folli guerre dettate dall’imperialismo americano. Guerre denominate missioni di pace, ma che si rivelano puntualmente vere e proprie missioni di morte. La responsabilità non è di chi combatte per difendere la propria terra da un occupante straniero, ma di chi manda a morire i nostri giovani e poi si riempie la bocca con messaggi di circostanza colmi di ipocrisia.” Lotta studentesca dice basta alle guerre «made in USA» e prepara una mobilitazione su tutto il territorio nazionale: “I nostri soldati dovrebbero riconquistare quelle città oggi occupate dalla camorra, dalla ndrangheta e dalla mafia o presidiare quei quartieri dove i nostri anziani vengono uccisi da rom e immigrati. Non lasceremo che altri giovani italiani perdano la propria vita in questo modo orribile per una sudditanza verso i presunti liberatori che non accettiamo e non accetteremo mai!”

Comunicato Nazionale - Roma, 17/09/2009

lunedì 14 settembre 2009

Manifesto Nazionale 2009

Affitti in nero, Destra Universitaria annuncia proteste

Ha fatto scalpore l'indagine della Guardia di Finanza per cui a Padova quattro proprietari immobiliari su cinque non sono in regola negli affitti degli appartamenti locati a studenti universitari. Anche 400 euro per una singola, 250 per un posto letto, è la regola per chi studia lontano da casa. E chi non ha una buona famiglia alle spalle, se ci riesce deve ridursi a pagare 200 euro per una posto in tripla. Proprietari approfittatori, certo, del resto l'occasione fa l'uomo ladro e l'onesta non è certo una delle più diffuse qualità. Ma non solo. E' facile puntare il dito contro i cittadini proprietari di case: ma in realtà loro non fanno che attingere comodamente ad un mercato lasciato senza regole, ad un mondo in cui le garanzie sono l'eccezione e non la regola. E' chiara la mancanza di volontà politica nella tutela del diritto allo studio, che richiederebbe uno stanziamento di fondi nettamente maggiore di quelli attualmente disposti. L'Universita di Padova conta circa 60 mila studenti, di cui buona parte fuori sede, che sono una evidente risorsa per la città e per la regione intera.Ma che vengono di solito spennati come polli al grido di "affittasi centralissimo posto letto per modica cifra". Una situazione intollerabile, soprattutto se si pensa che praticamente solo nel nostro Paese all'istruzione vengono destinate cosi' poche risorse. E se lo stato latita, come d'abitudine, anche il Comune di Padova è dato per disperso. Tempo fa proponemmo la stipula di un accordo tra Comune, Università e privati per coprire parte delle spese di domicilio dei fuori sede ed agevolare i proprietari che affittano a studenti, o in alternativa lo stanziamento di fondi da parte della regione per la costruzione di edifici da destinare ad universitari. Destra Universitaria annuncia proteste concomitanti con l'inizio del nuovo anno accademico.

Caro Libri, LOTTA STUDENTESCA: Pronti a scendere in piazza!

Anche quest’anno torna a pesare sulle tasche di migliaia di famiglie italiane il costo della scuola, in particolare quello legato ai libri di testo.” Lotta Studentesca denuncia: “Il blocco delle nuove edizioni fatto dalla Gelmini non è servito a nulla e i fatti parlano da soli. La speculazione continua e aumentano i prezzi ad opera delle case editrici. Anche le quote limite imposte dal governo restano disattese.”E’ intollerabile che le famiglie italiane debbano spendere oltre 300 euro per i libri di testo. A questa spesa si aggiunge il costo di quaderni, zaini, diari e cancelleria che secondo la Federconsumatori è aumentato del16%. Si calcola che la cifra finale che grava su ogni nucleo familiare si aggira tra i 450 fino ai 900 euro”. “Il centro-destra alla guida del paese, ancora una volta, in linea con i governi precedenti, si dimostra incapace di affrontare la questione. Un problema così sentito e reale non può essere lasciato in secondo piano.”Il diritto allo studio non deve essere considerato un privilegio, la scuola è pubblica. Chiediamo che lo stato si faccia carico della spesa o adotti soluzioni alternative come ad esempio il comodato d’uso gratuito già attivo in Germania e in altre nazioni europee.” “Siamo pronti a manifestare – prosegue il movimento studentesco vicino a Forza Nuova - per contrastare un sistema che fa gli interessi delle lobbies nostrane a discapito dei comuni cittadini che pagano regolarmente le tasse e che si trovano già in condizioni difficili vista la crisi economica in atto.”Lotta Studentesca conclude: “Diamo 60 giorni di tempo a Berlusconi e al ministro della pubblica istruzione Gelmini, se il governo non interverrà con nuove proposte, a novembre scenderemo in piazza nelle maggiori città italiane. Gli studenti sono dalla nostra parte, basta con il caro libri!